Il difficile recupero dei crediti tributari da parte delle procedure concorsuali

Il Sole 24 Ore – 2004

L’intervento di Alberto Cimolai (Il Sole 24 Ore del 1 luglio 2004) offre l’occasione per esaminare ulteriori problematiche connesse al complesso recupero dei crediti tributari da parte delle procedure concorsuali.
In primo luogo occorre distinguere tra i crediti precedenti o successivi alla data di apertura della procedura fallimentare, ritenendo successivi i crediti iva che si generano nel corso della procedura fallimentare ed il credito per ritenute subite che verrà ad esistenza con la presentazione della dichiarazione dei redditi finale della procedura.
Appare interessante la procedura attuata dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano che ha predisposto un fac-simile di comunicazione per il tramite del quale tutti i curatori sono tenuti ad inviare richiesta di certificazione circa la certezza e la liquidità dei crediti d’imposta eventualmente vantati dal fallimento ex art. 10, D.L. 269/2003, convertito in L. 326/2003. Le Agenzie Locali trasmettono copia della certificazione al curatore ed al Giudice Delegato al fine di consentire un monitoraggio continuo dei crediti fiscali delle procedure.
In relazione ai crediti tributari sorti prima dell’apertura della procedura concorsuale, si pone innanzitutto il problema della corretta qualificazione giuridica del credito iva eventualmente emergente dalla dichiarazione (ex art. 74-bis, D.P.R. 633/1972) che il curatore deve presentare ai sensi dell’articolo 8, comma 4, D.P.R. 322/1998 entro quattro mesi dalla nomina relativamente alle sole operazioni iva registrate nella parte dell’anno solare anteriore alla dichiarazione di fallimento. Mentre l’Agenzia delle Entrate (da ultimo con risoluzione ministeriale n. 103 del 29 marzo 2002) ha costantemente ritenuto che il credito derivante dalla presentazione di tale dichiarazione iva non possa essere chiesto a rimborso, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 273 del 13 gennaio 2004 ha ammesso tale possibilità ritenendo che la dichiarazione ex art. 74-bis costituisca dichiarazione equiparabile alla dichiarazione iva annuale e che la dichiarazione di fallimento sia assimilabile alla cessazione dell’attività dell’impresa. Sebbene le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte siano condivisibili, in ragione del fatto che la dichiarazione ex art. 74-bis contiene tutti gli elementi idonei a classificarla come dichiarazione annuale, non appare invece pienamente condivisibile la motivazione adottata dalla Suprema Corte, e cioè la considerazione che la dichiarazione di fallimento, in carenza di esercizio provvisorio, costituisca momento di cessazione dell’attività d’impresa. Appare invece che con la dichiarazione di fallimento non vi sia soluzione di continuità per quanto concerne la normativa iva tra la fase di gestione dell’impresa e la fase di liquidazione delle attività per il soddisfacimento dei creditori (Corte Costituzionale, sentenza n. 115 del 30 aprile 1986).
Ulteriori problematiche che non hanno ancora trovato una organica trattazione nella prassi dell’Agenzia delle Entrate, concernono i limiti di compensabilità dei rapporti tributari creditori e debitori. Si pone infatti il problema di coordinare le norme tributarie in tema di compensazione (D.Lgs. 241/1997) con la norma posta dall’art. 56 della legge fallimentare. Secondo le più recenti interpretazioni della Suprema Corte (Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza n. 8042 del 22 maggio 2003), l’art. 56 della legge fallimentare prevede quale unico limite alla compensabilità dei debiti verso il fallito-creditore, l’anteriorità al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte, e quindi la compensazione fallimentare è applicabile non solo quando il credito del terzo non è ancora scaduto alla data della dichiarazione di fallimento, ma anche quando tale scadenza riguardi il credito del fallito.
Si deve quindi ritenere che qualora i rapporti tributari creditori e debitori siano precedenti la data di dichiarazione di fallimento e si riferiscano a situazioni giuridiche certe (sentenza passata in giudicato – decorrenza dei termini di decadenza dell’accertamento – esistenza di attestazione ex art. 10, D.L. 269/2003), si possa ammettere la compensazione delle partite creditorie e debitorie. Diverso è il caso in cui i rapporti creditori e debitori siano l’uno precedente e l’altro successivo alla data di dichiarazione di fallimento, in questo caso la compensazione non può essere ammessa (risoluzione ministeriale n. 279/2002).
E’ poi ancora priva di ogni indicazione operativa e completamente inattuata la norma di cui all’art. 3, comma 3, D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito in L. 178/2002, che prevede la possibilità, a carico dell’Agenzia delle Entrate, nel caso di assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, di procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo al fine di garantire una maggiore proficuità ed economicità alle operazioni di recupero dei crediti tributari.

Christian Dominici