Possibile la richiesta del rimborso del credito iva del periodo infrannuale precedente la data di dichiarazione di fallimento

Il Sole 24 Ore – 2004

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 273/2004 del 13 gennaio 2004 ha stabilito l’importante principio secondo cui il credito iva derivante dalla dichiarazione presentata dal curatore ai sensi dell’art. 74-bis, D.P.R. 633/1972 per il periodo di imposta infrannuale che precede la data di dichiarazione di fallimento, può essere richiesto a rimborso, costituendo la dichiarazione ex art. 74-bis dichiarazione equiparabile alla dichiarazione iva annuale e costituendo la dichiarazione di fallimento momento di cesura nella vita dell’impresa e quindi, a giudizio della Suprema Corte, momento assimilabile alla cessazione dell’attività dell’impresa.
L’art. 8, comma 4, D.P.R. 322/1998, sancisce l’obbligo per i curatori di presentare, entro quattro mesi dalla loro nomina, una apposita dichiarazione iva relativa alle sole operazioni registrate nella parte dell’anno solare anteriore alla dichiarazione di fallimento, al fine di consentire all’Ufficio competente di conoscere l’eventuale debito iva del periodo pre-fallimentare ed al fine quindi di poter proporre insinuazione allo stato passivo.
Se la dichiarazione presenta:
A) un debito, non deve essere effettuato alcun versamento, l’ufficio si insinuerà al passivo;
B) un credito, non è consentito richiedere il rimborso (R.M. 12.7.1995 n. 181/E) – l’eventuale rimborso può essere richiesto dal curatore soltanto nella dichiarazione annuale dell’intero periodo. Tale credito può comunque anche prima della dichiarazione annuale dell’intero esercizio essere utilizzato dal curatore a riduzione dell’imposta da versare in caso, ad esempio, di cessione dei beni a lui pervenuti dalla procedura (risoluzione ministeriale n. 103 del 29 marzo 2002).
La Suprema Corte ha ritenuto che le limitazioni poste dall’art. 30, D.P.R. 633/1972, per la richiesta del rimborso iva sono applicabili soltanto alle imprese in normale attività, che hanno, quindi, la possibilità di recuperare l’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni nel corso delle future operazioni imponibili: ciò che invece non è possibile nel caso di fallimento dell’impresa, che versa nell’impossibilità di effettuare ulteriori operazioni imponibili.
Ritiene infatti la Suprema Corte che il fallimento genera una cesura nella vita dell’impresa, e fatta salva l’ipotesi di esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 90 legge fallimentare (ipotesi peraltro eccezionale che la stessa Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto provare al fine di poter eventualmente rifiutare il rimborso d’imposta), impedisce all’impresa di poter recuperare con future operazioni imponibili il credito iva.
Sebbene le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte siano condivisibili, in ragione del fatto che la dichiarazione ex art. 74-bis per la frazione di anno solare precedente la data di dichiarazione di fallimento contiene già tutti gli elementi idonei a classificarla come dichiarazione annuale ai sensi dell’art. 28, D.P.R. 633/1972, non appare invece pienamente condivisibile la motivazione utilizzata dalla Suprema Corte per ritenere la dichiarazione ex art. 74-bis equiparabile alla dichiarazione annuale e cioè la considerazione che la dichiarazione di fallimento, in carenza di esercizio provvisorio, costituisca momento di cessazione dell’attività d’impresa.
Appare invece che con la dichiarazione di fallimento non vi sia soluzione di continuità per quanto concerne la normativa iva tra la fase di gestione dell’impresa e la fase di liquidazione delle attività per il soddisfacimento dei creditori (si veda anche Corte Costituzionale, sentenza n. 115 del 30 aprile 1986).
Infatti, così come avviene nell’ordinaria vita dell’impresa, il curatore, durante la procedura concorsuale, quasi in continuazione delle attività svolte dall’imprenditore, registra fatture passive, emette le fatture di vendita, provvede alla liquidazione ed al versamento dell’imposta nei casi di legge, presenta la dichiarazione annuale iva. Come avviene nell’ordinaria vita d’impresa, il curatore può detrarre l’iva relativa a beni o servizi acquistati dall’imprenditore in data precedente la data di dichiarazione di fallimento e per i quali la fattura sia pervenuta successivamente alla stessa dichiarazione di fallimento.
In conseguenza di quanto esposto appare che la condizione di equiparabilità, ai fini della richiesta di rimborso del credito tributario, tra la dichiarazione iva ex art. 74-bis e la dichiarazione iva annuale non debba essere ricercata nella presunta cessazione delle attività per effetto dell’intervenuta nomina del curatore fallimentare, ma debba essere ricercata nella sostanziale uguaglianza dei dati principali concernenti la liquidazione di imposta che il curatore deve indicare sia nella dichiarazione ex art. 74-bis, sia nella dichiarazione annuale e nel riconoscimento del più moderni principi del diritto tributario che sanciscono la possibilità per il contribuente di richiedere il rimborso dei crediti fiscali effettivamente venuti ad esistenza, anche indipendendentemente dalla forma dichiarativa utilizzata.

Christian Dominici