2013
L’art. 22 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 , convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto rilevanti modifiche alla disciplina dell’accertamento sintetico sul reddito delle persone fisiche.
Se da un lato il nuovo strumento “redditometro” di cui tanto si è già discusso, presenta l’innegabile vantaggio di correlare le spese correnti effettivamente sostenute (e non stimate per effetto di medie di settore /cluster come nel precedente strumento) al tenore di vita del contribuente, dall’altro presenta innegabili debolezze e difetti nella correlazione delle ben diverse spese per investimenti.
Si pensi infatti che il nuovo redditometro, nel caso di acquisto di una abitazione da parte del contribuente, provvede a stimare come reddito dell’esercizio la differenza tra il valore di acquisto dell’immobile, meno i disinvestimenti dell’anno e dei quattro precedenti (circolare n. 24 del 31 luglio 2013) meno il valore dei mutui contratti.
Stupisce notare che a tale tipologia di investimenti la circolare dell’agenzia delle entrate (n. 24/2013) dedichi soltanto poche righe finali indicando semplicemente che “in sede di contraddittorio il contribuente potrà fornire la prova relativa: alla formazione della provvista, che potrebbe anche essersi realizzata nel corso di un periodo diverso rispetto ai quattro anni indicati nel decreto ed all’utilizzo delle provvista per l’effettuazione dello specifico investimento”.
L’investimento immobiliare costituisce non solo l’investimento primario di tutte le famiglie italiane, ma è anche uno dei principali traini e veicoli della nostra economia – il settore immobiliare sta già soffrendo una pesantissima crisi, e si spera che nessuno voglia nel nostro Paese ripetere nel settore immobiliare gli stessi “successi tributari” che hanno già condotto al fallimento di tanti altri settori produttivi (nautica, ecc..).
Già in tema di applicazione del diverso strumento degli studi di settore molte imprese di piccole dimensioni (si pensi anche in questo caso alle piccole società immobiliari che provvedono alla sola locazione di pochi immobili propri) sono state costrette alla liquidazione, da risultanze degli studi di settore che non sono più in linea con gli attuali ricavi da locazione.
E’ assolutamente inutile ed ha costi sociali e professionali elevatissimi invitare al contraddittorio con l’agenzia delle entrate tutti i contribuenti che hanno acquistato immobili dal 2009 ad oggi, perché saranno tutti palesemente non congrui con il nuovo strumento di accertamento – nessuno contribuente onesto può infatti aver acquistato un immobile solo con i redditi prodotti in un unico esercizio fiscale!!!
L’investimento immobiliare delle famiglie italiane trae origine nella maggior parte dei casi dai redditi degli anni precedenti (anche vent’anni in molti casi) e dai risparmi generati negli stessi anni precedenti (da ultimo Corte di Cassazione sentenza n. 29193 del 25.9.2013): si tratta di dati tributari che sono già ampiamente nella disponibilità dell’amministrazione finanziaria sia in relazione ai redditi dichiarati da un singolo o da una famiglia nei 5/10/15 anni precedenti, sia in relazione al risparmio che presuntivamente sulla base dei redditi conseguiti sia stato accumulato.
E’ necessario che, almeno nel caso degli investimenti immobiliari, l’onere della prova ed i costi del contraddittorio e della difesa tributaria, siano in parte redistribuiti tra agenzia delle entrate e contribuente, e non quindi totalmente a carico di quest’ultimo.
Ai sensi dello Statuto del Contribuente, l’agenzia delle entrate già dispone di tutti i dati circa il risparmio presunto ed effettivo accumulato dalle famiglie, è quindi necessario che il legislatore e la prassi intervengano con urgenza sancendo che vadano immediatamente esclusi dalle liste di controllo almeno i contribuenti che, nei cinque o dieci anni precedenti all’acquisto immobiliare, abbiano dichiarato redditi famigliari coerenti con l’investimento immobiliare effettuato, o abbiamo effettuato disinvestimenti coerenti con l’investimento realizzato.
Il tutto al fine di non gravare il contribuente, in un periodo di crisi economica così difficile, di ulteriori costi professionali e sociali che lo indurrebbero, magari, ad accettare proposte di accertamento con adesione da parte dell’agenzia delle entrate in merito a redditi mai effettivamente conseguiti al solo fine di evitare inutili ulteriori accertamenti burocratici ed un lungo e costoso contenzioso tributario.
Christian Dominici