Il Sole 24 Ore – 2004
Il progressivo allungamento dei tempi dei rimborsi tributari a favore dei contribuenti induce ad effettuare alcune riflessioni su una casistica ancora poco trattata in dottrina ed in giurisprudenza: il rapporto tra il giudizio di ottemperanza previsto dall’art. 70, D. Lgs. 546/1992 ed il danno erariale a carico della Pubblica Amministrazione.
Il rischio è che i funzionari dell’Amministrazione Finanziaria subiscano un’azione per danno erariale in tutti i casi in cui si arrivi all’attivazione del giudizio di ottemperanza.
Nel giudizio previsto dall’art. 70, D. Lgs. 546/1992, infatti, la Commissione Tributaria attua tutte le azioni finalizzate, anche per il tramite della nomina di un commissario ad acta, a far ottenere il rimborso d’imposta al contribuente e quindi a far eseguire una sentenza di condanna al rimborso passata in giudicato.
Compiute tali azioni ed ottenuta la firma del mandato di pagamento, la Commissione dichiara chiuso il giudizio con ordinanza, come previsto dall’art. 70, commi 7 e 8, e può autorizzare, se del caso, la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per la valutazione del danno erariale.
Il danno erariale a carico dei funzionari dell’Amministrazione Finanziaria consisterebbe infatti nel ritardo con cui gli stessi funzionari hanno provveduto a liquidare il rimborso d’imposta in maniera immotivata, visto che ormai, giunti al giudizio di ottemperanza, la condanna al rimborso dell’Amministrazione era definitiva ed immodificabile.
Prevede infatti l’articolo 3, primo comma, lettera a) della legge 20 dicembre 1996, n. 639 che “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale.”
La quantificazione del danno causato all’Amministrazione non potrebbe che essere pari all’ammontare di interessi passivi dovuti dalla data di esecutività della sentenza di condanna della commissione tributaria provinciale o regionale alla data di effettiva erogazione del rimborso.
Si ricordi poi che gli interessi a carico dell’Amministrazione Finanziaria sono dovuti in misura anatocistica dalla data di proposizione della domanda giudiziale di richiesta di rimborso (Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza n. 552 del 22 gennaio 1999).
Né gli stessi funzionari potrebbero sostenere, in un caso simile, che i ritardi nell’erogazione di un rimborso derivante da sentenza già passata in giudicato siano ascrivibili non a propri comportamenti omissivi, ma alla carenza di stanziamenti di bilancio a favore delle singole Agenzie Locali.
Tutti i debiti tributari dell’Amministrazione Finanziaria che derivano da sentenze passate in giudicato possono infatti essere immediatamente soddisfatti per il tramite di anticipazioni erogate dalla Banca d’Italia (il cosiddetto “conto sospeso”) e quindi senza attendere gli stanziamenti di bilancio.
Prevede infatti l’art. 14, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in Legge 28 febbraio 1997, n. 30, che il completamento delle procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo al pagamento di somme di denaro, in assenza di disponibilità finanziarie inerenti il correlato capitolo di spesa, sia effettuato mediante emissione di uno speciale ordine di pagamento rivolto all’istituto tesoriere (Banca d’Italia), da regolare in conto sospeso.
In definitiva, sebbene sia auspicabile che i giudici dell’ottemperanza non provvedano alla trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, esiste un moderato rischio che i funzionari dell’Amministrazione Finanziaria, in caso di eccessivi ritardi al pagamento di somme a seguito di sentenze di condanna al rimborso passate in giudicato, possano essere chiamati a rendere conto del loro operato in relazione all’ammontare di interessi passivi pagati in eccesso ed ormai inutilmente (vista l’impossibilità di qualsiasi riforma della sentenza) dalla stessa Amministrazione.
Christian Dominici