2004
Le modificazioni introdotte a far corso dal 1° gennaio 2004 nella imposizione dei dividendi, imperniate sull’abolizione del credito d’imposta nel nostro Paese, consentono di effettuare alcune riflessioni sulla normativa comunitaria di riferimento (Direttiva Cee n. 90/435/CEE) e sulle modificazioni che hanno coinvolto, nell’ambito dei gruppi di imprese multinazionali, le distribuzioni di dividendi in entrata ed in uscita dal nostro Paese.
La Direttiva comunitaria n. 90/435/CEE
La Direttiva comunitaria n. 90/435/CEE ha dettato, per tutti gli Stati membri, un insieme di disposizioni tendenti ad eliminare la doppia imposizione economica e giuridica dello stesso reddito e a favorire la libera circolazione di capitali ed una corretta concorrenza tra tutte le imprese residenti nell’ambito della Comunità economica europea.
La disciplina introdotta dalla direttiva comunitaria, nell’ottica di favorire gli scambi e le relazioni economiche tra i Paesi membri, prevede l’esenzione da tassazione di un’ampia quota del reddito distribuito nel Paese membro, sotto il rispetto delle seguenti condizioni:
• la società che distribuisce i dividendi deve essere costituita in una delle forme previste nell’allegato alla direttiva n. 90/435/CEE emanata dal Consiglio delle Comunità europee in data 23 luglio 1990;
• la società deve essere fiscalmente residente in uno degli Stati Europei;
• la società che distribuisce i dividendi deve essere soggetta, nello Stato di residenza, alle imposte sui redditi così come identificate nel testo della stessa direttiva, senza alcuna possibilità di fruire di regimi di opzione o di esenzione.
La disciplina previgente nel nostro Paese
Nel nostro Paese, la disciplina comunitaria era stata trasfusa nel testo normativo dell’articolo 96-bis, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. L’articolo 96-bis, infatti, prevedeva che gli utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione da società non residenti (che avessero i requisiti individuati nella citata direttiva), nel caso in cui la partecipazione diretta nel loro capitale fosse non inferiore al 25 per cento e fosse detenuta ininterrottamente per almeno un anno, non concorrevano alla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare; tuttavia, detto importo rilevava agli effetti della determinazione dell’ammontare delle imposte di cui al comma 4, art. 105, D.P.R. n. 917/1986.
Il legislatore nazionale aveva introdotto i principi di cui alla direttiva comunitaria n. 90/435/CEE nel corpo stesso delle norme del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, stabilendo che i dividendi distribuiti a favore di una società o di un ente residente nel nostro Paese (si tratta di una formula particolarmente ampia, utilizzata dal legislatore al fine di ammettere al beneficio anche tutti gli enti residenti non costituiti nella forma di società) da parte di una società controllata o collegata, residente in un altro Paese della Comunità europea, della quale la società residente detenga in maniera ininterrotta da almeno un anno il 25 per cento del capitale, non partecipano alla formazione del reddito imponibile nel nostro Paese e sono quindi esenti da imposizione per la misura del 95 per cento del loro ammontare.
La norma agevolativa in argomento si applicava anche alle stabili organizzazioni, in Italia, di imprese residenti in altri Paesi della Comunità europea che rispettassero, comunque, i medesimi requisiti in tema di detenzione della partecipazione e di imposizione sui redditi.
Una ulteriore norma tendente a limitare gli abusi nell’applicazione di tale disciplina era contenuta nel quinto comma del citato articolo 96-bis, secondo il quale le minusvalenze che potessero eventualmente determinarsi nel valore della partecipazione, così come iscritta nella società controllante residente nel nostro Paese, non erano fiscalmente deducibili se determinate per effetto della distribuzione di dividendi esenti da imposizione ai sensi dello stesso articolo 96-bis.
La norma era chiaramente volta ad evitare semplici abusi che potevano altrimenti basarsi sul fatto che la distribuzione di dividendi dalla controllata estera alla controllante italiana non generava la formazione di materia imponibile nel nostro Paese e anzi avrebbe consentito, per effetto della riduzione del valore della stessa partecipazione, la deduzione in capo alla controllante residente nel nostro Paese di una ulteriore perdita di valore della partecipazione .
L’applicazione della disciplina convenzionale nella distribuzione di dividendi in luogo della Direttiva madre-figlia
In luogo, però, dell’applicazione della direttiva madre-figlia, risultava talvolta più interessante e conveniente fiscalmente procedere all’applicazione della norma convenzionale vigente tra il nostro Paese ed il Paese Cee ove aveva sede la controllante.
In particolare alcune discipline convenzionali prevedevano che all’atto della riscossione dei dividendi provenienti dal nostro Paese, la società potesse chiedere, alle autorità fiscali del nostro Paese, il rimborso di una parte del credito d’imposta insito nella distribuzione di quel dividendo.
Si fornisce, ad esempio, di seguito il caso della distribuzione di dividendi verso il Regno Unito.
La Convenzione contro le doppie imposizioni, stipulata sulla base del modello OCSE ed attualmente vigente tra Italia e Gran Bretagna, porta la data del 21 ottobre 1988 ed è stata recepita nel nostro Paese per effetto della Legge 5 novembre 1990, n. 329, entrata in vigore il 31 dicembre 1990.
La disciplina dei dividendi nelle norme convenzionali è regolata dall’articolo 10 della Convenzione Italia–Gran Bretagna, che stabilisce innanzitutto, in tema di ritenuta d’imposta sui dividendi, che i dividendi pagati da uno Stato all’altro aderente alla Convenzione possono essere tassati anche soltanto nel Paese in cui ha sede la società erogante i dividendi; in questo caso, l’ammontare della ritenuta non potrà essere superiore al 5 per cento dell’ammontare del dividendo lordo distribuito, laddove l’effettivo beneficiario di tali dividendi è una società che controlla, direttamente o indirettamente, almeno il 10 per cento dei diritti di voto della società erogante i dividendi. L’ammontare della medesima ritenuta non potrà essere superiore al 15 per cento dell’ammontare del dividendo lordo erogato, in tutti gli altri casi.
Ai sensi del paragrafo 4, punto b), del citato articolo 10 della Convenzione Italia–Gran Bretagna, quando il beneficiario dei dividendi è una società che controlla direttamente o indirettamente almeno il 10 per cento dei diritti di voto della società italiana che distribuisce i dividendi e la società inglese è l’effettivo beneficiario dei dividendi, la società inglese ha diritto a richiedere a rimborso, presso l’Amministrazione finanziaria del nostro Paese, un credito d’imposta pari alla metà del totale del credito d’imposta cui una persona fisica residente in Italia avrebbe avuto diritto nel caso fosse stata l’effettivo beneficiario dei dividendi distribuiti.
La norma in argomento è importante poichè consente, in capo alla controllata italiana, non soltanto la distribuzione dei dividendi alla controllante inglese, ma anche la richiesta del rimborso del 50 per cento del basket d’imposta correlato alla distribuzione degli stessi dividendi.
In passato, frequentemente, le imprese multinazionali con società controllate situate nel nostro Paese hanno per alcuni o anche per molti anni omesso la distribuzione di dividendi alla società controllante, anche in considerazione del fatto che l’imposizione fiscale nel nostro Paese veniva considerata particolarmente elevata e, quindi, tale da deprimere gli utili netti annuali in misura non irrilevante.
In questo modo, le società controllate situate nel nostro Paese hanno spesso accumulato importanti riserve di utili e di «basket», ossia crediti di imposta correlati agli stessi utili non distribuiti. Con il passaggio al nuovo meccanismo di eliminazione della doppia imposizione, pur nella neutralità del nuovo sistema, molte imprese si sono ritrovate a perdere completamente i benefici correlati all’aver accumulato crediti d’imposta così rilevanti.
Nel caso in cui l’impresa controllante fosse situata in Inghilterra, rispettando le condizioni sopra citate, la distribuzione di dividendi da parte della società italiana fino all’anno 2003 (distribuzione effettuata non secondo la normativa introdotta dalla direttiva Cee n. 90/435, ma secondo l’ancora vigente convenzione tra i due Paesi) consentiva il recupero, in capo alla controllata italiana, a mezzo di apposita istanza di rimborso, del 50 per cento del credito d’imposta correlato ai dividendi distribuiti.
Va anche ricordato che, qualora l’impresa residente nel nostro Paese decida la distribuzione dei dividendi alla controllante inglese sulla base della disciplina convenzionale, la distribuzione non potrà essere effettuata senza la corresponsione di alcuna imposta a titolo di ritenuta, ma dovrà invece essere operata, come stabilito dalla stessa convenzione la ritenuta del 5 per cento sull’ammontare lordo dei dividendi corrisposti.
L’applicazione di tale ritenuta convenzionale è ribadita anche dal comma 4, art. 27-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 che recita come segue: «resta impregiudicata l’applicazione di ritenute alla fonte previste da disposizioni convenzionali che accordano rimborsi di somme afferenti i dividendi distribuiti».
Sul problema era intervenuta anche la circolare ministeriale 18 agosto 1994, n. 151/E che, considerando alternativi il regime convenzionale ed il regime introdotto dalla direttiva «madri-figlie», riteneva che «[…] non possono cumularsi sic et simpliciter gli effetti della direttiva e delle singole convenzioni».
La normativa introdotta con la riforma del D.P.R. 917/1986
La nuova disciplina dei dividendi, introdotta con la riforma del D.P.R. 917/1986 e con l’introduzione dell’Ires, si impernia sull’eliminazione del credito d’imposta sui dividendi e sulla equiparazione di quanto disposto dalla Direttiva Cee n. 90/435 anche alle distribuzioni di utili che avvengono all’interno del nostro Paese.
Si tratta, quindi, di una norma che tende a modernizzare il tessuto tributario del nostro Paese, ed a equiparare il trattamento dei dividendi con quanto già previsto nelle normative dei principali Paesi comunitari.
Tale cambiamento normativo, però, avrà sicuramente effetti nella pianificazione delle operazioni di ristrutturazione aziendale in gruppi multinazionali.
Si pensi ad esempio a tutti i casi sopra descritti, in cui la distribuzione di dividendi a favore della controllante con sede nel Regno Unito, aveva come beneficio per la stessa società, con l’applicazione della disciplina Convenzionale tra i due Paesi in luogo dell’applicazione della Direttiva madre-figlia, la possibilità di richiedere il rimborso del 50% del credito di imposta insito nella distribuzione di quel dividendo italiano.
Tale operazione non sarà più possibile proprio perché i dividendi distribuiti dalla società italiana non apportano più alcun credito d’imposta.
Il nuovo TUIR fornisce una più puntuale definizione degli utili, i quali risultano caratterizzati dalla circostanza che derivano dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società (si veda anche circolare 16 giugno 2004, n. 26/E).
Non sono invece riconducibili alla definizione di utili da partecipazione i proventi che non trovino contropartita in una partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’Ires.
La distinzione di cui sopra è particolarmente importante se si pensa che la riforma del diritto societario ha introdotto la possibilità, per le imprese, di emettere strumenti finanziari partecipativi forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi ad esclusione del diritto di voto nell’assemblea degli azionisti.
Si tratta, in particolare, di strumenti finanziari che possono essere emessi dalle società a fronte della partecipazione di soggetti esterni a patrimoni destinati ad uno specifico affare o a fronte dell’apporto di opere o servizi (in questi casi si tratta di apporto e non di conferimento nell’ambito delle società per azioni).
Il trattamento tributario di tali strumenti finanziari è assimilabile al trattamento finanziario degli utili d’impresa soltanto nella misura in cui tali strumenti sono remunerativi, nei confronti dei loro titolari, in correlazione ai risultati economici della società.
Di conseguenza, il trattamento in capo ai percettori delle somme ricevute per effetto della proprietà di strumenti finanziari che non comportano il diritto di voto nell’assemblea degli azionisti è assimilato al trattamento fiscale degli utili di partecipazione al capitale della società solamente nella misura in cui tale remunerazione è correlata ai risultati economici della società o di un singolo affare. In questo caso la stessa remunerazione in capo al soggetto erogante è indeducibile dal reddito d’impresa.
Occorre ora esaminare, nell’ottica della distribuzione di dividendi tra società di capitali, qual è il trattamento delle distribuzioni di dividendi effettuati da una società estera ad una società italiana e quale invece il trattamento in caso di distribuzione di dividendi da una società residente nel nostro Paese ad una società estera.
La distribuzione di dividendi da una società straniera ad una società residente
In linea generale la distribuzione di un dividendo da una società straniera ad una società residente segue lo stesso principio della distribuzione di dividendi tra due società residenti.
In particolare se il soggetto residente percettore il dividendo è qualificato come un soggetto Ires, il percettore riceverà un dividendo esente dalla base imponibile Ires per il 95% del suo ammontare.
Se il percettore residente è invece soggetto all’Irpef (Ire in futuro), esercente attività d’impresa, i dividendi esteri percepiti concorrono alla formazione della base imponibile nella misura del 40% del loro ammontare con attribuzione del credito per le imposte pagate all’estero.
Nel caso in cui, invece, il soggetto Ires, percepisca un dividendo derivante da fonte estera al di fuori dell’ambito dell’attività di impresa si potranno realizzare due casi a seconda che la partecipazione sia di tipo qualificato o non qualificato.
Nel caso in cui la partecipazione sia di tipo non qualificato il soggetto residente sconterà l’imposizione nella misura del 12,50% nella forma della ritenuta a titolo di imposta sull’ammontare lordo del dividendo corrisposto senza più possibilità di optare per la tassazione ordinaria in sede di dichiarazione dei redditi.
Nel caso in cui, invece, la partecipazione sia di tipo qualificato, il legislatore ha ritenuto opportuno mantenere l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di acconto da applicare su un imponibile ridotto al 40% con conseguente obbligo dichiarativo a carico del soggetto Irpef o Ire residente nel nostro Paese e possibilità di scomputarsi il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.
La ritenuta, come ha chiarito anche la circolare 26/E del 16 giugno 2004, si applica sul cosiddetto “netto frontiera” ossia sull’importo dei dividendi al netto delle imposte applicate nello stato di residenza, sia nei casi di applicazione della ritenuta a titolo di acconto, sia nei casi di applicazione della ritenuta a titolo di imposta.
La distribuzione di dividendi da una società residente ad una società non residente
La norma di riferimento è contenuta nell’articolo 27, D.P.R. 600/1973, nella formulazione in vigore dal 1° gennaio 2004. In particolare agli utili corrisposti a soggetti non residenti si applica una ritenuta a titolo di imposta pari al 27% degli utili corrisposti (12,50% nel caso di azionisti di risparmio).
Il soggetto non residente ha diritto al rimborso, fino a concorrenza dell’importo massimo dei quattro noni della ritenuta versata, dell’importo che dimostri di aver pagato all’estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello stato estero.
La norma di cui al successivo articolo 27-bis, D.P.R. 600/1973, stabilisce poi che, in relazione agli utili in uscita dal nostro Paese, è previsto il rimborso della ritenuta operata o addirittura la non applicazione della ritenuta a titolo di imposta sugli utili distribuiti da una società “figlia” residente in Italia, ad una società “madre” residente nella Comunità Europea purché siano applicabili le condizioni previste nella Direttiva Cee 435/90 e la partecipazione diretta della società straniera nella società italiana che distribuisce gli utili sia non inferiore la 25% del capitale della società.
Il comma 4, dell’art. 27-bis, D.P.R. 600/1973, stabilisce poi che resta impregiudicata la possibilità per le imprese di applicare le disposizioni delle norme Convenzionali stabilite tra i diversi Stati stranieri e l’Italia, con la possibilità quindi di applicazione delle ritenute all’uscita previste nelle stesse norme convenzionali ed anche delle eventuali normative convenzionali che accordino rimborsi di somme afferenti i dividendi distribuiti.
Principali effetti dell’introduzione della nuova disciplina nell’ambito delle imprese multinazionali
Appare immediatamente evidente che l’applicazione della nuova normativa in tema di imposizione dei dividendi nel nostro Paese non comporta rilevanti cambiamenti nel caso si agisca nell’ambito di un gruppo di imprese che opera all’interno della Comunità Economica Europea.
Infatti il legislatore ha in gran parte trasfuso le norme già vigenti ad opera della direttiva Cee n. 435/90 anche alle distribuzioni di dividendi che vengono operate tra società residenti nel nostro Paese.
L’unica eccezione era costituita dal fatto che, in casi piuttosto ricorrenti, la società controllante era situata in uno Stato Cee che consentiva l’applicazione della normativa convenzionale in luogo della Direttiva madre-figlia, ed il conseguente rimborso di una parte del credito d’imposta insito nella distribuzione del dividendo.
Alla luce della riforma operata nel nostro Paese e della conseguente eliminazione del credito d’imposta sui dividendi non risulta più conveniente, quando sussistano le condizioni per l’applicazione della direttiva madre-figlia, optare per l’applicazione della normativa convenzionale tra società residenti nella Cee.
Infatti la normativa convenzionale impone pur sempre il versamento di una ritenuta, anche se minima, all’atto della corresponsione dei dividendi e tale ritenuta non potrà più essere compensata con il vantaggio conseguito per il tramite del rimborso del 50% del credito d’imposta trasmesso dai dividendi delle imprese residenti nel nostro Paese.
Diverso è invece il caso in cui non si possa applicare l’articolo 27-bis, D.P.R. 600/1973 e la Direttiva madre-figlia, si pensi ai casi di gruppi d’imprese residenti nella Cee in cui la percentuale di partecipazione diretta nella società italiana sia inferiore al 25% del capitale o al caso di società italiana controllata da una società extra-Cee.
In questi casi la normativa in termini di ritenuta a titolo di imposta sui dividendi in uscita dal nostro Paese contenuta nell’art. 27, D.P.R. 600/1973, continua ad essere particolarmente penalizzante con l’imposizione di una ritenuta a titolo di imposta pari al 27% degli utili corrisposti. Risulterà, quindi, particolarmente importante il supporto del consulente al fine di valutare nei confronti di quali Paesi si possa beneficiare di un regime fiscale più favorevole, sia in termini di disposizioni Convenzionali che stabiliscano una minore imposizione ai dividendi in uscita, sia in termini di un eventuale almeno parziale rimborso della ritenuta subita.
Christian Dominici