Alcuni effetti dell’introduzione della thin capitalisation nell’ambito delle imprese multinazionali

2004

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione in esame, ha ritenuto il rapporto di conto corrente tra la società italiana e la capogruppo straniera non costituire un rapporto di finanziamento, poiché le eventuali rimesse attive effettuate dalla capogruppo non comportano un onere restitutorio a carico della società italiana, le rimesse tra società hanno il carattere della reciprocità ed il conto corrente centralizzato è caratterizzato da inesigibilità ed indisponibilità del saldo fino alla sua chiusura.
Di conseguenza, in questo caso, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto operante la condizione di non imponibilità di cui all’art. 26-bis, D.P.R. 600/1973, secondo cui non essendoci un onere restitutorio a carico della società italiana, il rapporto di cash pooling non può ritenersi equiparabile a un rapporto di finanziamento tra le imprese.
Quando operano tali condizioni, si deve quindi ritenere non operante all’accordo di cash pooling il disposto in tema di thin capitalisation di cui all’art. 98, D.P.R. 917/1986, visto che il rapporto in esame non si contraddistingue come rapporto di finanziamento.
Diversamente si è invece espressa l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n.194 del 8 ottobre 2003.
In quel caso, infatti, la fattispecie prospettata dalla società istante prevedeva la stipulazione di un contratto da parte di tutte le società europee nei confronti dell’istituto bancario della società capogruppo (cosiddetto “notional cash pooling”), in cui ogni società consociata trasferisce a fine giornata il saldo del proprio conto corrente: unica condizione contrattuale è che il saldo complessivo di tutti i conti correnti delle società consociate trasferiti a fine giornata sia maggiore o uguale a zero.
In un accordo di questo tipo l’istituto finanziario che ospita il conto corrente centrale in cui confluiscono i saldi delle diverse consociate non effettua alcun annullamento a fine giornata dei saldi dei singoli conti correnti, ma effettua soltanto una compensazione degli interessi maturati a favore delle singole consociate. In pratica, nel caso esaminato con la risoluzione 58/2002, il contratto di cash pooling dava luogo ad un effettivo annullamento giornaliero dei singoli rapporti delle società consociate, e la copertura dell’eventuale saldo passivo a carico di ogni società non comportava a carico della stessa società alcun onere restitutorio.
Nell’accordo esaminato con la risoluzione 194/2003, invece, non si realizza alcuna compensazione effettiva dei saldi dei conti correnti delle diverse società del gruppo, ma si realizza soltanto la compensazione delle partite creditorie e debitorie che concernono gli interessi maturati dei diversi conti correnti delle società locali.
I saldi dei conti correnti delle diverse società nazionali vengono compensati tra loro a fine giornata soltanto al fine di poter determinare il saldo attivo complessivo su cui calcolare gli interessi maturati da ripartire poi tra le varie società, si realizza quindi non una vera e propria compensazione dei saldi, ma una compensazione degli interessi maturati.
Visto che le partite creditorie e debitorie in quest’ultimo caso restano di competenza delle differenti filiali nazionali, (nel caso di cui alla risoluzione n. 58/2002, invece veniva effettuata in via giornaliera una effettiva compensazione delle partite creditorie e debitorie dei conti correnti delle diverse filiali nazionali), l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto operante un rapporto di prestito nel caso in cui il conto corrente della consociata italiana dovesse esprimere un saldo passivo.
Di conseguenza gli interessi pagati dalla consociata italiana non possono fruire del regime di non imponibilità previsto dall’art. 26-bis, D.P.R. 600/1973, ma devono considerarsi imponibili e soggetti alla ritenuta d’imposta di cui all’art. 26, comma 5, D.P.R. 600/1973.
Ne consegue che in questi casi gli accordi di cash pooling tra le imprese dovranno essere monitorati anche per quanto concerne l’applicazione dell’art. 98, D.P.R. 917/1986 in tema di contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione.
Nell’attuale stesura dell’art. 98, si prevede che il rapporto tra i debiti rilevanti ed il patrimonio netto di competenza debba essere valutato nella sua “consistenza media durante il periodo di imposta”.
Stabilisce poi il comma 3, lett. f) dello stesso articolo 98, che la consistenza media si determina valorizzando i finanziamenti esistenti giorno per giorno e dividendo il totale per il numero di giorni che compongono il periodo di imposta.
Nei contratti di cash pooling occorrerà quindi monitorare giorno per giorno gli importi che dovessero essere versati dalla società controllante (socio qualificato) alla consociata italiana a titolo di copertura dell’eventuale saldo passivo di conto corrente delle consociata.
Nel caso tali somme comportino un onere restitutorio, e siano quindi qualificabili come prestito, occorrerà quotidianamente tener conto di tali finanziamenti per determinare il rapporto di indebitamento rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 98, TUIR.

Le operazioni straordinarie con utilizzo della leva finanziaria

Un altro ambito di potenziale applicazione dell’art. 98, D.P.R. 917/1986, può essere rilevato in tutti i casi in cui si effettuino operazioni straordinarie, con costituzione di società veicolo che apportano un rilevante indebitamento.
Sembra in primo luogo di poter escludere dal campo di applicazione dell’art. 98, D.P.R. 917/1986, le operazioni di leveraged buy out e leveraged buy in, visto che in tali casi i finanziamenti alle società neocostituite provengono dagli istituti bancari o finanziari che sono quasi sempre terzi rispetto ai soci della stessa società. Altrimenti in capo alla società neocostituita il rapporto debito-capitale provocherebbe sicuramente l’applicazione della disposizione di cui all’art. 98 (salvo il caso di applicazione dell’ultimo comma dello stesso articolo 98 che prevede la disapplicazione della norma in relazione ai contribuenti il cui volume d’affari non supera le soglie previste per l’applicazione degli studi di settore).
Diverso è invece il caso in cui la consociata italiana di un gruppo multinazionale dovesse ricevere un finanziamento da parte della capogruppo al fine di condurre a termine una operazione di acquisizione nel nostro Paese.
Sicuramente in questo caso trova applicazione la normativa di cui all’art. 98, D.P.R. 917/1986, appare quindi evidente che tale tipologia di operazioni verrà gestita in futuro dai gruppi multinazionali in maniera differente, nell’ipotesi in cui la società controllante non intenda trasformare il prestito erogato alla consociata italiana in un versamento in conto capitale.
La controllante potrebbe invece decidere di provvedere direttamente all’acquisto della società residente nel nostro Paese da cedere poi alla consociata italiana.
Sebbene quindi, la riforma del sistema tributario attuata nel nostro Paese abbia inteso introdurre strumenti innovativi e vicini agli strumenti già utilizzati dai principali Paesi europei (si pensi al regime di participation exemption ed al consolidato nazionale e mondiale), la forte limitazione introdotta nelle possibilità di finanziamento da parte dei soci delle imprese partecipate, potrebbe avere la conseguenza che, nell’ambito dei gruppi multinazionali potrà continuare a rimanere interessante la costituzione all’estero di “società veicolo” portatrici di capitale proprio e di debito e destinate all’acquisizione di imprese ed alla eventuale successiva fusione con le società target, al fine di evitare l’applicazione nel nostro Paese delle disposizioni di cui all’art. 98 TUIR.
In definitiva, l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 98 TUIR per contrastare l‘utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione delle imprese, ha sicuramente il merito di voler contrastare anche la sottocapitalizzazione economica delle imprese del nostro Paese al fine di poter rafforzare il sistema produttivo ed indurre i soci di imprese di medie dimensioni a mantenere più a lungo gli utili nel patrimonio aziendale.
Nell’ambito dei gruppi multinazionali, la normativa introdotta con l’articolo 98 TUIR contrasta con le recenti Direttive Cee (direttiva CEE n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003) che hanno inteso eliminare negli Stati membri le ritenute corrisposte per i finanziamenti intragruppo, limita le possibilità dei gruppi multinazionali di ridurre l’impatto fiscale sulle consociate residenti nel nostro Paese per il tramite dell’evidenziazione di interessi passivi a favore della società capogruppo estera e pone problemi applicativi per quanto riguarda le gestioni dei flussi finanziari e di tesoreria più complessi e moderni, imponendo (ad esempio nell’ambito degli accordi di cash pooling) una adeguata definizione del tipo contrattuale scelto ed un monitoraggio giornaliero dei flussi finanziari.

Christian Dominici