Azienda e fisco – 2003
La direttiva CEE n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003, pubblicata nella Guce n. 157/L del 26 giugno 2003, che dovrà essere attuata dagli Stati membri della Comunità Europea entro il 1° gennaio 2004, ha stabilito importanti novità nel regime fiscale a cui devono essere assoggettati gli interessi ed i canoni corrisposti tra società consociate residenti.
E’ infatti previsto che i singoli Stati Membri dovranno modificare la propria legislazione fiscale al fine di garantire che il pagamento di interessi e canoni tra società “consociate” residenti nella Comunità Europea avvenga in esenzione da tassazione nello Stato della fonte.
La Direttiva CEE n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003
La direttiva CEE n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003, pubblicata nella Guce n. 157/L del 26 giugno 2003, che dovrà essere attuata dagli Stati membri della Comunità Europea entro il 1° gennaio 2004, ha stabilito importanti novità nel regime fiscale a cui devono essere assoggettati gli interessi ed i canoni corrisposti tra società consociate residenti.
Prevede in particolare la Direttiva, al fine di armonizzare la disciplina fiscale dei diversi Paesi membri, e nell’intento di eliminare le distorsioni connesse all’applicazione delle ritenute alla fonte sui pagamenti di interessi e canoni che comportano complesse procedure per il recupero delle imposte pagate all’estero dai residenti, l’esenzione da tassazione nello Stato della fonte, dei pagamenti effettuati tra società consociate di Stati membri diversi nonché tra stabili organizzazioni di queste società a titolo di interessi di finanziamento e di canoni percepiti.
Alcune definizioni preliminari sono importanti al fine di comprendere l’ambito oggettivo di applicazione delle norme nel momento in cui verranno recepite dai diversi ordinamenti nazionali.
Ai sensi dell’articolo 2, della Direttiva 2003/49/CE, sono definiti interessi “i redditi da crediti di qualsiasi natura, garantiti o meno da ipoteca e recanti o meno una clausola di partecipazione agli utili del debitore e, in particolare, i redditi derivanti da titoli e da obbligazioni di prestiti, compresi i premi collegati a detti titoli. Le penali per tardivo pagamento non sono considerate interessi.”
Sono inoltre definiti canoni, anche in accordo con la bozza di Convenzione OCSE, “i compensi di qualsiasi natura percepiti per l’uso o la concessione in uso del diritto di autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche (comprese le pellicole cinematografiche e il software) di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti o per informazioni relative ad esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico. Sono considerati canoni i compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche.”
Per quanto concerne poi l’ambito soggettivo di applicazione delle nuove norme, una volta recepite dai singoli legislatori nazionali, è da indicare che la norma si applica nei rapporti tra società consociate residenti nei Paesi della Comunità Europea o tra loro stabili organizzazioni residenti. Per quanto concerne il nostro Paese, il beneficio sarà fruito soltanto dalle società di capitali, in considerazione del fatto che la Direttiva richiama esplicitamente le società soggette ad Irpeg.
Merita anche considerazione la definizione di imprese consociate, al fine di poter fruire del regime agevolativo previsto dalla stessa direttiva.
Secondo la lettera della norma comunitaria, due società si considerano consociate allorché una delle due detenga nell’altra una partecipazione diretta minima pari al 25% del capitale, ovvero qualora una terza società detenga una partecipazione minima diretta perlomeno pari al 25% del capitale in entrambe le società.
Al fine di garantire gli Stati comunitari, la Direttiva ha altresì previsto che gli Stati d’origine possano esigere che il soddisfacimento dei requisiti sia comprovato, al momento del pagamento, da apposita certificazione, potendo in caso contrario applicare una ritenuta alla fonte.
L’assenza di ritenute alla fonte all’atto della corresponsione di interessi e canoni nell’ambito delle imprese multinazionali è destinata non solo a favorire lo sviluppo di gruppi multinazionali, ma anche a massimizzare i vantaggi legati alle diverse convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, anche al fine di favorire la diffusione e lo sviluppo di know-how nell’ambito delle realtà multinazionali.
Si deve segnalare che la Direttiva ammette, per gli Stati membri, la possibilità che nell’attuazione delle norme di esenzione dalla tassazione alla fonte vengano posti specifici vincoli.
I vincoli che i singoli Paesi possono introdurre al regime di esenzione da ogni imposizione alla fonte sono i seguenti:
a) Possibilità di non applicare la Direttiva se le condizioni di detenzione della partecipazione non persistano per un periodo ininterrotto di almeno due anni (art. 1, par. 10);
b) Possibilità di esigere che il soddisfacimento dei requisiti sia comprovato da un certificato al momento del pagamento (art. 1, par. 11);
c) Possibilità di subordinare l’esenzione all’emanazione di una propria decisione sulla scorta di un certificato attestante il possesso dei requisiti (art. 1, par. 12);
d) Possibilità di richiedere la giustificazione legale dei pagamenti in virtù di contratti (art. 1, par. 13);
e) Possibilità di prevedere la necessaria informazione della propria autorità fiscale nel caso in cui vengano meno i requisiti per l’applicazione dell’esenzione (art. 1, par. 14);
f) Possibilità di sostituire il criterio della partecipazione minima al capitale sociale con quello del possesso di una quota minima dei diritti di voto (art. 3, lett. b);
g) Possibilità di non concedere i benefici della Direttiva a particolari tipologie di pagamenti (art. 4).
La normativa attuale del nostro Paese in tema di interessi percepiti da soggetti non residenti
L’articolo 26, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ultimo comma, stabilisce che i soggetti indicati all’articolo 23 dello stesso decreto (tra i quali sono ricomprese le società di capitali residenti) applicano una ritenuta a titolo di imposta pari al 12,5% sui redditi di capitale da essi corrisposti a soggetti non residenti. Lo stesso comma stabilisce poi che la misura della ritenuta è elevata al 27% se i percipienti sono soggetti esteri residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati con il decreto del Ministero delle Finanze emanato ai sensi del comma 7 bis dell’articolo 76 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (D. M. 23 gennaio 2002, modificato da ultimo in data 27 dicembre 2002 in vigore dal 14 gennaio 2003).
Volendo poi esaminare alcune cause di esonero totale da ritenuta, è possibile evidenziare che l’articolo 26-bis, D.P.R. 600/1973, prevede che non sono soggetti ad imposizione i redditi di capitale derivanti da depositi e conti correnti diversi da quelli bancari e postali, con esclusione degli interessi ed altri proventi derivanti da prestiti di denaro percepiti da soggetti residenti in Stati con i quali sono in vigore convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito che consentano all’amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per accertare la sussistenza dei requisiti, sempreché tali soggetti non risiedano negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati con il decreto emanato dal Ministero delle Finanze ai sensi del comma 7-bis dell’art. 76, D.P.R. 917/1986 o da enti ed organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi nel nostro Paese.
Come ricorda anche l’ABI nella circolare TR/6711 dell’11 ottobre 1999, l’esenzione di cui all’art. 26-bis si applica anche sui rapporti di conto corrente intrattenuti da imprese ai sensi dell’art. 1823 del codice civile.
Circa poi l’evidenziazione della differenza tra rapporto di conto corrente e finanziamento regolato in conto corrente, è interessante ricordare che la Corte di Cassazione, sezione I, con sentenza n. 11041 del 22 dicembre 1994, ha ritenuto che “nel caso del deposito bancario o del conto corrente, l’Istituto di credito riceve una determinata somma dal cliente, sulla quale deve corrispondere gli interessi compensativi, mentre nell’ipotesi del finanziamento, ancorché regolato nelle forme del conto corrente, è la banca che mette a disposizione del cliente una determinata somma di denaro che deve essere restituita alle scadenze convenute, aumentata degli interessi compensativi.” E’ inoltre chiarito nella stessa sentenza che l’elemento qualificante del rapporto di conto corrente è l’esistenza di crediti derivanti da rimesse reciproche, mentre nel contratto di finanziamento l’eventuale conto corrente evidenzia solo gli utilizzi del finanziamento, i rimborsi e la periodica capitalizzazione degli interessi.
La circolare ministeriale n. 165/E del 1998, precisando che il regime di esonero per i non residenti è subordinato all’accertamento dei requisiti soggettivi richiesti dall’art. 26-bis, D.P.R. 600/1973, ha specificato che per poter applicare ai beneficiari non residenti il previsto regime di esonero, il soggetto residente nel nostro Paese deve acquisire un attestato di residenza rilasciato dalle autorità fiscali del Paese di residenza. Tale attestato deve essere di data antecedente o contestuale al momento del pagamento degli interessi o degli altri proventi.
Ulteriori casi di esenzione da imposizione alla fonte sono già previsti nel nostro ordinamento tributario in relazione agli interessi, premi ed altri frutti di alcuni particolari tipi di obbligazioni emesse da soggetti definibili “grandi emittenti” ai sensi dell’art. 6, del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239.
Infatti, l’articolo 1) del D. Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, ha escluso l’applicazione della ritenuta prevista dal primo comma dell’art. 26), D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sugli interessi e sugli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari emessi da banche, da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati italiani e da enti pubblici economici trasformati in società per azioni in base a disposizioni di legge.
L’articolo 2) del medesimo D. Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, ha poi introdotto per le obbligazioni ed i titoli similari, già citati nell’articolo 1), l’imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,5%, imposizione che si applica anche ai titoli di cui all’art. 31) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, ossia ai titoli del debito pubblico emessi da amministrazioni statali e da altri enti pubblici e relativamente ai buoni postali di risparmio.
L’imposta sostitutiva colpisce i soggetti residenti siano essi persone fisiche, società di persone o società di capitali, ed anche i soggetti non residenti.
Stabilisce però l’articolo 6), D. Lgs. 1° aprile 1996, n. 239 che non sono soggetti ad imposizione gli interessi, i premi e gli altri frutti percepiti da soggetti residenti in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni con il nostro Paese e che non debbono essere ricompresi tra quelli indicati nella “black list” di cui al comma 7-bis, dell’art. 76, D.P.R. 917/1986.
Non sono inoltre soggetti ad imposta sostitutiva gli interessi, i premi e gli altri frutti percepiti da enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia; e da investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti in Paesi non black-listed e che garantiscano un adeguato scambio informativo con il nostro Paese, e dalle banche centrali estere o dagli organismi che gestiscono le riserve ufficiali degli Stati.
Al fine di poter beneficiare dell’esenzione dall’imposizione sostitutiva, ai sensi dell’art. 7), D. Lgs. 239/1996, i soggetti non residenti devono depositare, direttamente o indirettamente, i titoli presso una banca o una società di intermediazione mobiliare residente, ovvero una stabile organizzazione in Italia di banche o di società di intermediazione mobiliare non residenti, che intrattenga rapporti diretti in via telematica con il Ministero delle Finanze. In particolare la banca o la società di intermediazione incaricata deve acquisire una autocertificazione dell’effettivo beneficiario dei titoli che attesti il possesso dei requisiti di cui all’articolo 6) per la disapplicazione dell’imposta sostitutiva, la banca custodirà inoltre i dati identificativi del soggetto non residente effettivo beneficiario dei proventi dei titoli depositati, nonché il codice identificativo del titolo e gli elementi necessari a determinare gli interessi ed i frutti non soggetti ad imposta sostitutiva. Nell’ambito delle definizioni di legge appena richiamate per la disapplicazione ai soggetti non residenti dell’imposta sostituiva, meritano approfondimento alcuni particolari aspetti.
In primo luogo la circolare ministeriale n. 23 del 1° marzo 2002, ha sancito che lo schema di autocertificazione, necessario al fine della disapplicazione dell’imposta sostitutiva in capo ai soggetti non residenti, così come approvato con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 12 dicembre 2001, deve essere utilizzato dal soggetto non residente anche per richiedere la non applicazione della ritenuta alla fonte prevista dall’art. 26-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Per quanto concerne poi la disapplicazione della norma in argomento si deve segnalare che il soggetto estero non deve essere residente in uno degli Stati o territori inclusi nella black-list prevista dal comma 7-bis, dell’art. 76, D.P.R. 917/1986, in particolare occorre far riferimento al D. M. 23 gennaio 2002, modificato da ultimo in data 27 dicembre 2002 in vigore dal 14 gennaio 2003, provvedimento con il quale sono state individuate nel nostro Paese non soltanto un elenco di Stati esteri che sono considerati avere un regime fiscale privilegiato, ma anche un elenco di tipologie di società con riferimento ai singoli Stati, considerate a regime fiscale privilegiato. L’Amministrazione Finanziaria, con circolare n. 23/E del 1° marzo 2002, ha chiarito che il citato decreto esplica effetti a decorrere dalla data del 19 febbraio 2002, ossia dal quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione, pertanto fino alla stessa data si deve fare riferimento all’elenco contenuto nel precedente D.M. 24 aprile 1992.
La stessa circolare ministeriale n. 23/2002, precisa inoltre che, ai fini dell’esenzione dall’imposta sostitutiva, si considerano Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni soltanto gli Stati indicati nella “white list” di cui al D. M. 4 settembre 1996 e successive modificazioni (da ultimo D. M. 14 Dicembre 2000).
La circolare ha inoltre chiarito la definizione di “investitori istituzionali” identificandoli negli “enti che, indipendentemente dalla loro veste giuridica e dal trattamento tributario cui sono assoggettati i relativi redditi nel Paese in cui sono costituiti, hanno come oggetto della propria attività l’effettuazione e la gestione di investimenti per conto proprio o di terzi”. In pratica la norma di legge, ammette a fruire dell’agevolazione dell’esenzione dall’imposta sostitutiva sugli interessi e sui frutti, gli investitori istituzionali costituiti in “Paesi virtuosi” di cui al primo periodo del comma 1, dell’art. 6), D. Lgs. 239/1996, anche nel caso in cui i predetti investitori istituzionali non siano assoggettati direttamente ad imposizione nei medesimi Paesi, e ciò avvenga in ragione di regimi di esenzione permessi dalla normativa interna o in qualsiasi altro caso di esclusione da imposizione tributaria o di imposizione per trasparenza in capo ai partecipanti al medesimo ente. Rientrano quindi in tale definizione sia gli investitori istituzionali che possono essere considerati “qualificati” in quanto assoggettati a forme di vigilanza istituzionale nei Paesi esteri in cui hanno sede ai sensi dall’art. 1, co. 1, del Decreto del Ministero del Tesoro n. 228 del 24 maggio 1998, sia gli investitori istituzionali esteri che, seppur non assoggettati a specifica vigilanza, siano in possesso di specifiche competenze ed esperienze in operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarate per iscritto dal legale rappresentante dell’ente. In quest’ultimo caso, però, si deve ritenere, sulla scorta di quanto affermato nella stessa circolare n. 23/2002, che tali organismi, per i quali non operano i sistemi statali di vigilanza, nei Paesi in cui gli stessi hanno sede pur avendo come fine istituzionale la gestione e l’effettuazione di investimenti, debbano considerarsi esclusi dal regime di esenzione, se costituiti appositamente allo scopo di gestire gli investimenti effettuati da un numero comunque limitato di partecipanti; è questo il caso delle società lussemburghesi che godono dei benefici di cui alla L. 31 luglio 1929 e dei trust o delle partnership, ossia di tutte quelle forme di investitori istituzionali che non offrono alla generalità del pubblico la possibilità di usufruire della propria attività in campo finanziario. Sono inoltre escluse dal regime di esenzione tutte quelle forme di società di investimento situate all’estero che risultino costituite ad hoc al fine di far usufruire del regime di esenzione i partecipanti situati in Italia o nei Paesi compresi nella black-list citata; anche l’attestazione dell’inesistenza di tale condizione ostativa dovrà essere resa dal legale rappresentatante della società e sarà conservata a cura dell’intermediario. Sul regime di esenzione è poi recentemente intervenuta anche la circolare ministeriale n. 20/E del 27 marzo 2003. La circolare di cui sopra ha precisato che nei casi in cui l’autocertificazione per fruire dell’esenzione d’imposta sia presentata successivamente al pagamento dei proventi, la parte potrà comunque, ricorrendone le condizioni, chiedere il rimborso dell’imposta versata ai sensi dell’art. 38, D.P.R. 602/1973 entro il termine di decadenza di 48 mesi dal versamento in forza dell’assimilazione prevista tra imposte dirette ed imposta sostitutiva sancita dall’art. 4, D. Lgs. 21 luglio 1999, n. 259.
La circolare n. 20/2003 ha inoltre sancito, che ai fini dell’applicazione del regime di esenzione previsto dall’art. 6, D. Lgs. 239/1996, per la determinazione della residenza della società estera, non si deve far riferimento ai criteri stabiliti dalle norme convenzionali in vigore tra l’Italia ed i Paesi terzi, ma si deve far riferimento al concetto di residenza verificato sulla base delle norme interne del singolo Paese; soltanto nel caso in cui il soggetto possa essere considerato residente in più Stati, si dovrà invece tener conto dei criteri generali desunti dal modello OCSE di Convenzione.
Si ricorda inoltre che l’articolo 9 del D. Lgs. 461/1997 prevede una disciplina mirante a riconoscere ai soggetti non residenti il diritto a conseguire i frutti dell’investimento senza alcuna imposizione, anche se tale trattamento è subordinato all’esistenza di alcune condizioni.
Si tratta in pratica della possibilità offerta ai sottoscrittori non residenti di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio italiani, di richiedere entro il 31 dicembre dell’anno in cui il provento è percepito, alla società di gestione del fondo comune, alla Sicav ovvero al soggetto incaricato del collocamento, il rimborso di una somma pari al 15% dei proventi erogati, che i medesimi soggetti incaricati del collocamento devono erogare, computandolo in diminuzione dai versamenti dell’imposta sostitutiva.
E’ altresì previsto dal comma 4 del medesimo articolo 9), che nel caso in cui le quote o azioni di organismi di investimento collettivo italiano siano sottoscritte esclusivamente da soggetti non residenti, gli organismi medesimi sono esenti dall’imposta sostitutiva sul risultato della gestione di cui all’art. 9 della legge 23 marzo 1983, n.77.
La normativa attuale del nostro Paese in tema di canoni percepiti da soggetti non residenti
L’ultimo comma dell’art. 25, D.P.R. 600/1973, prevede che i soggetti residenti che corrispondono a soggetti non residenti i compensi e le somme di cui al n. 9) dell’art. 19, D.P.R. 597/1973, oggi art. 20, comma 2, lett. c) del D.P.R. 917/1986, devono operare una ritenuta a titolo d’imposta pari al 30% sulla parte imponibile dell’ammontare lordo dei compensi.
La parte imponibile dei compensi è pari al 75% del compenso erogato in caso di compensi erogati direttamente all’autore o inventore (art. 50, comma 8, D.P.R. 917/1986), la stessa riduzione della base imponibile del 25% si applica nei confronti di tutti gli altri soggetti nel caso in cui i predetti diritti siano stati acquisiti a titolo oneroso (art. 85, comma 1, D.P.R. 917/1986).
Il modello OCSE prevede che i beni immateriali cui possono essere correlati i canoni siano:
a) il risultato dell’attività di ricerca e sviluppo di una società che, mantenendone la proprietà giuridica ed economica, lo utilizza in proprio o lo concede in licenza ad altre società del gruppo (o esterne al gruppo);
b) il risultato di un’attività di ricerca e sviluppo commissionata ad altre società attraverso un contratto di ricerca che preveda che il committente acquisisca la titolarità giuridica ed economica del bene immateriale scaturito dalla ricerca;
c) il risultato di un’attività di ricerca e sviluppo di una società per proprio conto e per conto di altre società del gruppo nell’ambito di un contratto in virtù del quale le parti si impegnano a svolgere un’attività congiunta acquisendo la proprietà economica (e non sempre giuridica) comune del risultato della ricerca. Questo tipo di contratto prevede di norma un meccanismo di cost contribution.
Nei casi in cui i rapporti tra società consociate siano regolati da un contratto di ricerca e sviluppo o di licenza, è applicabile il disposto di cui all’art. 25, D.P.R. 600/1973 ed i compensi devono essere assoggettati a ritenuta.
In altri casi invece, le consociate di uno stesso gruppo multinazionale stabiliscono, tramite dei contratti di cost sharing, la condivisione di particolari servizi e competenze intragruppo, in questi ultimi casi non si rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 25, D.P.R. 600/1973, ma si tratta di prestazioni e di condivisione di servizi non soggetti quindi a ritenuta.
Il modello OCSE prevede inoltre che i canoni siano assoggettati ad imposizione soltanto nel Paese di residenza del percipiente.
In alcune Convenzioni stipulate dal nostro Paese è prevista una limitata tassazione nello Stato fonte del reddito, in quasi tutte le convenzioni stipulate dall’Italia è inoltre previsto che il soggetto percipiente debba essere l’effettivo beneficiario dei canoni.
Si forniscono di seguito alcuni esempi di Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate con alcuni Paesi europei in relazione alla tematica del riaddebito di interessi e canoni.
La Convenzione Italia – Francia e l’imposizione degli interessi e dei canoni
La Convenzione Italia – Francia, firmata a Venezia il 5 ottobre 1989, recepita nel nostro Paese con la legge n. 20 del 7 gennaio 1992 prevede come regola generale che le somme a titolo di interessi pagate da uno Stato all’altro sono imponibili nello Stato del percipiente.
Tali somme possono essere comunque soggette a ritenuta alla fonte nel Paese di erogazione nel limite massimo del 10% se il soggetto che le riceve è l’effettivo beneficiario.
Se il soggetto che riceve gli interessi è l’effettivo beneficiario e gli stessi interessi sono pagati in relazione alla vendita a credito di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche o in relazione alla vendita a credito di merci consegnate da un’impresa ad un’altra, non è mai applicabile la ritenuta nel Paese della fonte.
E’ inoltre stabilito che, se in conseguenza di particolari relazioni esistenti tra il soggetto debitore ed il soggetto beneficiario, gli interessi eccedono l’ammontare normale determinabile in condizioni di libero mercato, le norme della Convenzione si applicano in relazione all’ammontare normale degli interessi, mentre l’ammontare che eccede tale importo è imponibile in conformità alla legislazione di ciascuno Stato.
Per quanto concerne i canoni è stabilito che i canoni sono imponibili soltanto nello Stato del percipiente, ogni Stato membro può applicare una ritenuta alla fonte nel limite del 5% dell’ammontare lordo dei canoni se il soggetto che li riceve ne è l’effettivo beneficiario.
La ritenuta alla fonte non è mai applicabile in caso di diritti d’autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, (ad eccezione del software, delle pellicole cinematografiche ed altre registrazioni di suoni o immagini) se il residente ne è l’effettivo beneficiario.
La Convenzione Italia – Gran Bretagna e l’imposizione degli interessi e dei canoni
La convenzione Italia – Gran Bretagna attualmente vigente è stata firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988 ed è stata recepita nel nostro Paese con la legge 5 novembre 1990, n. 329.
Le disposizioni in tema di imposizione degli interessi corrisposti tra i due Stati membri ricalcano le disposizioni già previste nella Convenzione Italia – Francia, sopra commentata, sia con riferimento alla soglia massima di ritenuta alla fonte applicabile (10%), sia con riferimento alle esenzioni, sia infine con riferimento alla norma antielusiva secondo cui gli interessi sottoposti al regime convenzionale non possono eccedere il limite del valore normale.
Una ulteriore norma antielusiva introdotta nella Convenzione Italia – Gran Bretagna riguarda la disapplicazione delle norme convenzionali in tutti i casi in cui il credito generatore di interessi sia stato costituito o ceduto al fine di beneficare delle stesse norme, e inoltre la limitazione della ritenuta alla fonte non si applica se il soggetto percipiente è esente da imposta per tali redditi e vende o sottoscrive un contratto per vendere la partecipazione da cui traggono origine gli interessi entro i tre mesi successivi alla data in cui il percipiente stesso ha acquistato la partecipazione.
Per quanto concerne i canoni, è stabilito dalla Convenzione che sono imponibili nello Stato del beneficiario; il livello di ritenuta alla fonte applicabile non può eccedere l’8% se il soggetto che li percepisce ne è l’effettivo beneficiario. Se il valore dei canoni pagati è eccedente il valore che sarebbe pagato in condizioni di libero mercato, le norme convenzionali si applicano solo al livello che non eccede il valore normale.
La Convenzione Italia – Spagna e l’imposizione degli interessi e dei canoni
La Convenzione Italia – Spagna è entrata in vigore nel nostro Paese per effetto della Legge 29 settembre 1980, n. 663.
In tema di imposizione sugli interessi lo schema seguito è pressoché identico a quello già commentato in relazione alla Convenzione stipulata tra Italia e Francia, in questo caso il limite massimo alla imposizione alla fonte è stabilito nel 12%, valgono anche le norme già commentate in relazione alla Convenzione Italia – Francia, circa l’esclusione della ritenuta alla fonte e la disapplicazione della norma convenzionale in caso di valore superiore al valore normale.
Anche per quanto concerne i canoni è stabilita l’imposizione nello Stato del percipiente, è possibile l’applicazione di una imposizione alla fonte, ma questa imposizione, in caso di effettivo beneficiario, non può eccedere il 4% dell’ammontare lordo delle remunerazioni di qualsiasi natura pagate per l’uso o la concessione in uso di un diritto d’autore su un’opera letteraria, drammatica, musicale o artistica (ad eccezione dei canoni relativi a films cinematografici e ad opere registrate su nastri o bande magnetoscopiche destinate alla televisione) o l’8% in tutti gli altri casi.
Viene disapplicata la norma convenzionale per i canoni che eccedono il valore normale di libero mercato.
La Convenzione Italia – Paesi Bassi e l’imposizione degli interessi e dei canoni
La Convenzione Italia – Paesi Bassi, firmata a l’Aja l’8 maggio 1990, è entrata in vigore nel nostro Paese per effetto della legge di ratifica 26 luglio 1993, n. 305.
Per quanto concerne gli interessi, è stabilito che gli stessi sono imponibili nello Stato del percipiente, e che l’imposizione alla fonte non può eccedere il 10% nel caso in cui il percipiente ne sia l’effettivo beneficiario.
Analoga regola vale per i canoni che, nel caso di beneficiario effettivo, non possono subire una imposizione alla fonte superiore al 5%.
Viene disapplicata la norma convenzionale per i canoni e gli interessi che eccedono il valore normale di libero mercato.
E’ auspicabile che il recepimento della Direttiva 2003/49/CE in tema di annullamento dell’imposizione alla fonte sugli interessi e sui canoni pagati da società consociate residenti nella Comunità Europea, avvenga nella misura di poter favorire al massimo i benefici previsti nei singoli Stati membri, senza che esigenze di eccessiva cautela fiscale spingano gli stessi Stati a subordinare l’annullamento di imposizione alla fonte alle condizioni già commentate e che la Direttiva ha previsto come opzionali. L’annullamento dell’imposizione alla fonte su interessi e canoni può essere infatti un importante stimolo alla condivisione di risorse e competenze nei gruppi multinazionali, ma anche alla ristrutturazione in ottica multinazionale di molte imprese situate nel nostro Paese.
Christian Dominici