L’imposizione fiscale nel caso di società partecipate residenti in Paesi a regime fiscale privilegiato

Azienda e Fisco – 2003

La ratio dell’articolo 127-bis, D.P.R. 917/1986

Dispone l’articolo 127-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, che “se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di un altro ente, residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati. (…) Ai fini della determinazione dei limiti del controllo di cui al comma 1, si applica l’articolo 2359 del codice civile in materia di società controllate e società collegate.”
La normativa riguardante le cosiddette Controlled Foreign Companies è stata introdotta dall’articolo 1 della legge 21 novembre 2000, n. 342, con efficacia dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento di individuazione dei regimi di Stati o territori a fiscalità privilegiata di cui all’articolo 127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi.
Il provvedimento in argomento, emanato con il decreto ministeriale 21 novembre 2001, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, di conseguenza per le società con esercizio sociale coincidente con l’anno solare, il provvedimento entra in vigore a decorrere dal periodo d’imposta 2002, e quindi relativamente alle dichiarazioni dei redditi che verranno presentate nel corso dell’anno 2003.
Presupposto per l’applicazione della normativa relativa alle CFC è il possesso di redditi conseguiti in uno degli Stati o territori con regime fiscale privilegiato individuati dal D.M. 21 novembre 2001, cosiddetta black-list, da imprese, società o enti controllati, direttamente o indirettamente, da persone fisiche, anche non titolari di reddito di impresa in Italia, o dai soggetti di cui all’articolo 5 (società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice) e art. 87, comma 1, lettere a), b) e c) (soggetti passivi Irpeg), del TUIR, residenti nel territorio dello Stato.
Rientrano in detta disposizione anche i redditi conseguiti da controllate estere, ancorché non residenti in uno degli Stati o territori individuati dal citato decreto ministeriale, che tuttavia provengano da stabili organizzazioni situate in uno di detti Stati o territori.
Secondo quanto espresso anche nella circolare ministeriale n. 18/E del 12 febbraio 2002, si considerano, inoltre, residenti o localizzati in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, così come individuati dal D.M. 21 novembre 2001, le società o gli enti ammessi comunque a fruire di tale regime.
Si deve inoltre segnalare che nel nostro Paese, per quanto concerne i rapporti con imprese residenti in Paesi a regime fiscale privilegiato, esistono diversi tipi di black-list.
Esiste innanzitutto la black-list prevista dall’art. 76, comma 7-bis, D.P.R. 917/1986, secondo cui non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati. Tali Stati o territori risultano individuati dal D.M. 23 gennaio 2002 a cui occorre fare riferimento al fine di valutare se le operazioni intercorse con imprese situate in tali Paesi possano essere considerate non deducibili fiscalmente per le imprese residenti nel nostro Paese.
L’Amministrazione Finanziaria con la circolare ministeriale n. 23/E del 1° marzo 2002, paragrafo 1), ha chiarito che il decreto ministeriale 23 gennaio 2002, esplica effetti a decorrere dalla data del 19 febbraio 2002, ossia dal quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione. Pertanto, fino alla data del 18 febbraio 2002, si deve fare riferimento all’elenco contenuto nel precedente Decreto Ministeriale del 24 aprile 1992.
Esiste poi la black-list prevista, come sopra argomentato, dall’art. 127-bis, D.P.R. 917/1986, si tratta in questo caso della black-list approvata con decreto del Ministero dell’Economia del 21 novembre 2001.
Esiste poi la black-list persone fisiche, infatti l’articolo 10 della legge 448/1998 (Legge Finanziaria per l’anno 1999) ha introdotto nuove disposizioni volte a contrastare la fittizia migrazione all’estero, per finalità tributarie, delle persone fisiche. In forza di questa norma, che ha introdotto il comma 2-bis dell’art. 2, del D.P.R. 917/1986, si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed “emigrati” in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato. In tale caso si deve fare riferimento, per l’individuazione dei predetti Stati, al decreto del Ministero delle Finanze del 4 maggio 1999.
Esistono poi le liste di Paesi non appartenenti all’Unione Europea, ma considerati virtuosi dall’Amministrazione Finanziaria e quindi “meritevoli” di ottenere il medesimo trattamento fiscale riservato alla imprese residenti nella Comunità Europea.
Con decreto del Ministro delle Finanze del 4 settembre 1996, integrato da ultimo con decreto ministeriale del 21 novembre 2001, è stato approvato l’elenco degli Stati virtuosi, con i quali risulta attuabile lo scambio di informazioni e nei confronti dei quali è ammessa l’estensione del favorevole regime dei dividendi previsto dall’articolo 96-bis del TUIR per le imprese residenti nell’Unione Europea.

Il requisito del controllo

Si analizzano di seguito le caratteristiche relative alla sussistenza del requisito del controllo ai fini dell’applicabilità dell’art. 127-bis del D.P.R. 917/1986.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429, per la verifica della sussistenza del controllo (che è il presupposto per la imputazione dei redditi al soggetto residente), rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Secondo quanto disposto anche dalla circolare ministeriale n. 18 del 12 febbraio 2002, soltanto nel caso in cui né dallo statuto del soggetto estero controllato, né dalle disposizioni generali del Paese estero sia dato individuare una data di riferimento di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione, allora si dovrà fare riferimento alla data di chiusura dell’esercizio fiscale del soggetto estero controllante.
A questo proposito la circolare n. 18/E del 12 febbraio 2002, fornisce la seguente esemplificazione. Si consideri una società controllata estera che chiude il proprio esercizio alla data del 30 giugno, e che a tale data risulta effettivamente controllata da un’impresa italiana che chiude il proprio esercizio il 31 dicembre. In questo caso la controllante italiana nel proprio esercizio chiuso il 31 dicembre dovrà dichiarare il reddito maturato dalla controllata estera fino alla data di chiusura del bilancio di quest’ultima, e cioè fino al 30 giugno. La considerazione è importante perché si rileva che la controllante italiana non deve redigere una situazione contabile e fiscale dell’impresa controllata coerente con la data di chiusura del proprio esercizio, ma è sufficiente che consolidi il risultato della controllata alla data di chiusura del bilancio di quest’ultima.

Il riferimento all’articolo 2359 del codice civile per valutare l’esistenza del requisito del controllo

Il primo comma dell’art. 127-bis, D.P.R. 917/1986, sancisce innanzitutto che il soggetto residente nel nostro Paese può esercitare il controllo nei confronti non soltanto di imprese estere costituite nella forma di società, ma nella più generale ed omnicomprensiva definizione di “società o ogni altro ente” domiciliato all’estero.
Si ravvisa in questo senso la volontà del legislatore di includere nel concetto di controllo ogni entità estera che sia o meno costituita nella forma societaria, al fine di non incorrere in facili esclusioni con riferimento alla differenti normative dei Paesi stranieri, riguardo, ad esempio, la definizione della nozione di impresa o di società in quegli Stati.
Precisa poi il terzo comma dello stesso articolo 127-bis che il requisito del controllo deve essere valutato per il tramite dell’applicazione dell’art. 2359 del codice civile.
Secondo l’articolo 2359 del codice civile, sono considerate società controllate le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria e le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Sancisce poi il comma secondo dello stesso articolo 2359 codice civile, che ai fini del computo dei diritti di voto, vanno conteggiati anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e per interposta persona, mentre non vanno conteggiati i voti spettanti alla controllante per conto di terzi.
Si ravvisa preliminarmente che non appare applicabile al disposto dell’art. 127-bis del TUIR, la modalità di controllo attuata per il tramite di vincoli contrattuali esistenti tra la società residente nel nostro Paese e la società estera, ciò in considerazione del fatto che la norma presuppone la sussistenza di rapporti di controllo di tipo reddituale, e ben difficilmente sarebbe quindi applicabile in tali casi di controllo contrattuale anche in considerazione del fatto che anche per l’Amministrazione Finanziaria sarebbe ben arduo provare sia l’esistenza del rapporto contrattuale tra le due aziende, sia desumere da questo rapporto l’imputazione dei redditi del soggetto non residente al soggetto italiano (tuttavia il Ministero delle Finanze si è espresso in senso contrario a tale interpretazione attraverso il primo comma dell’art. 3 del D.M. 21 novembre 2001, n. 429, quindi risultano assoggettabili a tassazione separata anche detti redditi derivanti da un controllo di tipo contrattuale).
In relazione poi alla verifica della sussistenza delle relazioni di controllo azionario, parte della dottrina (Luigi Belluzzo, Emanuele Lo Presti) è orientata a ritenere che per la verifica della “prova di resistenza” devono essere considerate le sole partecipazioni in società intermedie esse stesse controllate. Di conseguenza se l’impresa A detiene direttamente il 40% dell’impresa B e, per il tramite di un’altra impresa C (controllata al 80% da A) un ulteriore 20% della società B, deve ritenersi non esistente il controllo di A in B, poiché l’impresa C non è controllata da A, anche se l’effettivo controllo congiunto di A in B è pari alla quota complessiva del 56% (40% diretto + 80%X 20% indiretto).
La considerazione di cui sopra non è priva di conseguenze.
Tale lettura appare però in contrasto con la ratio del secondo comma dell’articolo 2359 del codice civile, secondo cui vanno computati non soltanto i voti spettanti a società controllate, ma anche a società fiduciarie e per interposta persona; di conseguenza non si ravvisa alcuna differenza tra il possesso di quote per interposta persona ed il possesso di quote per il tramite di una società non direttamente controllata.
Tale ratio appare anche coerente con quanto dispone l’articolo 3, comma 1, del decreto ministeriale n. 429 del 21 novembre 2001 secondo cui “i redditi (…) sono imputati al soggetto residente che esercita il controllo, anche ai sensi dell’art. 2359, comma 3), del codice civile, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta; tuttavia in caso di partecipazione indiretta per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, i redditi sono ad essi imputati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.”
Ciò significa che i redditi andranno sempre imputati al soggetto residente che detiene direttamente il controllo o la quota di partecipazione che contribuisce a determinare il controllo.
Nell’esempio di cui sopra in cui l’impresa A detiene direttamente il 40% dell’impresa B e, per il tramite di un’altra impresa C (controllata al 80% da A) un ulteriore 20% della società B, se ipotizziamo che sia l’impresa A, che l’impresa C siano residenti nel nostro Paese, C provvederà ad assoggettare a tassazione separata il 20% del reddito della società B – cioè la propria quota di partecipazione in B -, ed A provvederà ad assoggettare a tassazione separata il 40% del reddito della controllata B (in questo caso il controllo complessivo è pari al 56% dei diritti di voto, ma le due società assoggettano ognuna, verificato che esiste il rapporto di controllo, a tassazione separata la quota di propria partecipazione nell’impresa controllata).

E’ altresì importante notare che il reddito della società controllata estera è imputato al soggetto residente controllante indipendentemente dal periodo di possesso della partecipazione, infatti il meccanismo applicativo della norma prevede che il requisito del possesso non debba essere verificato nel corso dell’esercizio fiscale dell’impresa controllante o controllata, ma debba essere verificato soltanto al momento alla data di chiusura dell’esercizio della controllata estera. Inoltre il soggetto residente nel nostro Paese può utilizzare per il “consolidamento fiscale” dei dati contabili della società controllata estera gli stessi dati che emergono dalla contabilità, dal bilancio o da ogni altro documento riepilogativo della stessa società controllata. Nella determinazione del reddito imponibile dovranno comunque essere rispettate le disposizioni del titolo I, capo IV del TUIR, ad eccezione di quelle di cui agli articoli 54, comma 4 e 67, comma 3; nonché le disposizioni del titolo IV applicabili ai fini della determinazione del predetto reddito e quelle degli articoli 96, 96bis, 103 e 103bis D.P.R. 917/1986, ove applicabili.
Stabilisce poi l’articolo 2 del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 che i valori risultanti dai bilanci, per il periodo precedente l’entrata in vigore dello stesso decreto ministeriale, sono riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi a condizione che siano conformi a quelli derivanti dall’applicazione dei criteri contabili adottati nei precedenti esercizi o ne venga attestata la congruità da uno o più soggetti iscritti al registro dei revisori contabili.
E’ anche ovviamente stabilito che sono ammesse in detrazione dall’imposta determinata in capo alla controllante italiana le imposte pagate all’estero dalla controllata in via definitiva; che gli utili distribuiti dall’impresa non residente non concorrono a formare il reddito complessivo del soggetto partecipante per la quota corrispondente all’ammontare dei redditi assoggettati a tassazione separata e che il costo della partecipazione nel soggetto non residente è aumentato dei redditi soggetti a tassazione separata e diminuito, fino a concorrenza di tali redditi, in base agli utili distribuiti.
Sorge poi il problema di verificare che cosa possa accadere quando in merito ai rapporti tra due Paesi esista una precedente disciplina convenzionale che regola i meccanismi di trasferimento delle informazioni in merito ai contribuenti, e che regola magari anche i meccanismi utili ad evitare le doppie imposizioni internazionali. La disciplina del nostro Paese, per come è strutturata, appare lasciare poco spazio ad eventuali precedenti convenzioni internazionali tra Paesi ormai inseriti nella black list a favore dell’attrazione dei redditi nei confronti della società controllante italiana.
E’ comunque da segnalare la recente sentenza della Corte di Appello di Parigi del 30 gennaio 2001, che dovendo giudicare circa la prevalenza della norma fiscale interna in tema di controlled foreign companies e la norma Convenzionale, ha sancito la prevalenza della norma convenzionale in rispetto al principio universalmente riconosciuto di gerarchia delle fonti del diritto

Possibilità di disapplicare la disciplina di cui all’art. 127-bis D.P.R. 917/1986

Ai sensi del quinto comma, dell’art. 127-bis, D.P.R. 917/1986, esiste la possibilità di disapplicare le norme di cui al comma 1 (assoggettamento del reddito estero a tassazione separata con aliquota non inferiore al 27% nel nostro Paese), nel caso in cui il soggetto residente dimostri che la società estera svolga una effettiva attività industriale o commerciale come sua principale attività nel territorio nel quale ha sede, o che dalla partecipazione in argomento la società residente nel nostro Paese non consegue l’effetto di localizzazione dei redditi in Stati o territori sottoposti a regime fiscale privilegiato. Ai fini di utilizzare i benefici di cui sopra, il contribuente deve però interpellare preventivamente l’Amministrazione Finanziaria ai sensi dell’art. 11 della legge 27 luglio 200, n. 212.
La circolare ministeriale n. 18/2002 ha inoltre chiarito le differenze esistenti tra l’interpello “ordinario” e l’interpello per la disapplicazione della norma di cui all’art.127-bis del TUIR.
In particolare mentre l’interpello ordinario è lo strumento a disposizione del contribuente per conoscere l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate circa la portata e l’ambito applicativo della norma tributaria, l’interpello per la disapplicazione delle disposizioni dell’art. 127-bis del TUIR permette al soggetto residente di dimostrare, relativamente a ciascuna controllata estera e prima di presentare la dichiarazione dei redditi, la sussistenza dei presupposti per la disapplicazione della normativa sulle imprese estere partecipate.
Di conseguenza nel caso in cui l’esercizio fiscale della controllata estera coincida con l’anno solare, e con il presupposto che esistesse il rapporto di controllo alla data di chiusura dell’esercizio, occorrerà dotarsi del parere dell’Agenzia delle Entrate prima della presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2002 nel nostro Paese (l’eventuale accoglimento dell’istanza oltre il termine di presentazione della dichiarazione preclude l’esercizio della facoltà di non tassare il reddito per l’anno in corso – il 2002 con dichiarazione da presentarsi nel 2003 – ma non preclude tale diritto per le future annualità). Fa fede non la data di presentazione dell’istanza, ma la data di comunicazione della risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Nel caso in cui, presentata l’istanza del contribuente, decorrano 120 giorni senza che sia stato emesso alcun atto espresso da parte dell’Agenzia delle Entrate, l’istanza si intenderà accolta.
Si ricorda inoltre che in tema di coordinamento delle norme previste dall’articolo 76, comma 7-bis e dall’art. 127-bis del TUIR, la circolare ministeriale n. 9/E del 26 gennaio 2001, ha chiarito che anche quando l’Amministrazione Finanziaria in risposta all’interpello di cui al comma 5), dell’art. 127-bis del TUIR, abbia ritenuto non applicabile il regime previsto dal medesimo articolo, il contribuente non è autorizzato a ritenere non operanti le disposizioni del comma 7-bis dell’art. 76 del TUIR, atteso che le condizioni per ottenere tale ultima inapplicabilità appaiono sostanzialmente diverse da quelle indicate dall’art. 127-bis.

Casi di interpello già effettuati nei confronti dell’Agenzia delle Entrate

Si fornisce di seguito una sintetica disamina dei principali casi di interpello in tema di disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del TUIR.
Con la risoluzione n. 274 del 9 agosto 2002, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del TUIR relativamente a una società costituita e regolata secondo le leggi dello Stato di Bermuda, ma che a decorrere dal 27 dicembre 2001 ha trasferito la propria sede in Lussemburgo. L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che essendo ormai la società localizzata in Lussemburgo e non essendo regolata dalle leggi che regolano le cosiddette società “holding del 1929” – Legge locale del 31 luglio 1929, non sussistono più le condizioni per l’applicazione della norma di cui all’art. 127-bis D.P.R. 917/1986.
Con la risoluzione n. 275 del 9 agosto 2002, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto non applicabile la norma di cui all’art.127-bis, D.P.R. 917/1986, relativamente ad una società partecipata costituita secondo le leggi dello Stato di Bermuda, ma fiscalmente domiciliata nel Regno Unito, la cui attività consiste nello sfruttamento di risorse minerarie situate in Indonesia ed i cui redditi esteri sono assoggettati a tassazione sia in Indonesia, sia nel Regno Unito. L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che tale struttura societaria non consente alla società di localizzare i redditi nello Stato di Bermuda (Paese compreso nella black-list) poiché i redditi sono tassati, dai documenti aziendali prodotti, sia in Indonesia sia nel Regno Unito (entrambi Paesi non black-listed).
Con la risoluzione n. 276 del 9 agosto 2002, è stata riconosciuta la disapplicazione della norma di consolidamento dei redditi nel caso di una società controllata costituita secondo la legislazione delle Antille Olandesi, che svolge attività di holding finanziaria e di partecipazioni e che ha trasferito la propria residenza fiscale in data 14 dicembre 2001 nei Paesi Bassi , trasferendo anche la propria direzione effettiva ad Amsterdam.
Con la risoluzione n. 285 del 16 agosto 2002 è stata riconosciuta la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis, D.P.R. 917/1986 relativamente al caso di una controllata estera con sede in Irlanda che opera nel territorio di Singapore tramite una stabile organizzazione ivi residente. La disapplicazione della norma è stata disposta dall’Agenzia delle Entrate sia in considerazione del fatto che, secondo la legislazione fiscale Irlandese, i redditi della stabile organizzazione con sede a Singapore sono tassati direttamente in Irlanda, sia in considerazione del fatto che la partecipata estera possiede a Singapore una struttura idonea a svolgervi una effettiva attività economica.
Con la risoluzione n. 358 del 15 novembre 2002, l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del D.P.R. 917/1986 relativamente ad una società partecipata con sede in Svizzera che, con apposita istanza all’amministrazione cantonale delle imposte, ha richiesto di essere assoggettata al regime fiscale ordinario, rinunciando così ai privilegi concessi alle società holding con sede in Svizzera. La decisione dell’Amministrazione Finanziaria appare discutibile, in considerazione del fatto che la società controllata pur risiedendo in un Paese in cui le società holding sono assoggettate ad un regime fiscale privilegiato, non beneficia comunque, per espressa rinuncia, di tale regime.
Con la risoluzione n. 386 del 19 dicembre 2002, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del TUIR in relazione ad una partecipazione indiretta detenuta da una società italiana nei confronti di una società con sede nelle Maldive, in questo caso è stato ritenuto che la società residente alla Maldive ha un’autonoma organizzazione idonea alla svolgimento dell’attività economica che consiste nella gestione di un villaggio turistico.
Con la risoluzione n. 387 del 19 dicembre 2002 non è stata riconosciuta la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del TUIR in relazione ad una società partecipata con sede a Singapore, poiché l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la società partecipata non avesse un’idonea organizzazione per lo svolgimento di una effettiva attività industriale e di servizi.
Con la risoluzione n. 388 del 19 dicembre 2002 non è stata riconosciuta la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del TUIR in relazione ad una società italiana che controlla per il tramite di una holding in Olanda una società residente in Svizzera con branch operative negli Emirati Arabi Uniti. In questo caso l’Agenzia delle Entrate ha ravvisato che il requisito dello svolgimento di un effettiva attività industriale o commerciale può essere provato solo con riferimento alla branch residente negli Emirati Arabi Uniti, e non anche con riferimento alla società Svizzera, che è anch’essa una società residente in un Paese a fiscalità privilegiata, e per la quale non sussiste tale requisito.
Con la risoluzione n. 389 del 19 dicembre 2002 è stata riconosciuta la disapplicazione della norma di cui all’art. 127-bis del TUIR in relazione ad una società controllata residente a Hong Kong, visto che in questo caso è stato ritenuto sussistente il requisito dell’esistenza di una struttura organizzativa autonoma idonea allo svolgimento di una effettiva attività economica.

Conclusioni

Appare quindi evidente, dalle risoluzioni sopra enunciate, che la possibilità di disapplicare le norma di cui all’art. 127-bis, D.P.R. 917/1986 è data nei casi in cui si dimostri l’esercizio effettivo presso la controllata residente in un Paese a regime fiscale privilegiato di una effettiva attività industriale o commerciale; nei casi in cui non si consegua l’effetto di localizzare i redditi in un Paese a regime fiscale privilegiato, ad esempio quando i redditi di una stabile organizzazione in un Paese fiscale privilegiato vengano comunque tassati in un Paese CEE, o anche quando l’azienda estera ha provveduto a rinunciare ai benefici in argomento non per opzione facendo rimanere però la sede aziendale nello stesso Paese black-listed (anche se la risoluzione n.358/2002 appare comunque discutibile), ma trasferendo effettivamente la sede operativa ed il domicilio fiscale della controllata estera in un Paese non black-listed (risoluzioni ministeriali n. 274 e 276/2002).

Christian Dominici