Il sole 24 ore-21/12/2003
La corte d’Appello di Milano sezione IV civile, con sentenza n. 288472003, si è pronunciata , in modo positivo, in merito alla possibilità che l’amministrazione finanziaria possa chiuedere e ottenere l’ammissione al passivo fallimentare delle sanzioni sui crediti tributari, anche nei casi in cui l’amministrazione sia già ammessa al passivo per l’importo dell’imposta e degli interessi.
Nel caso specifico l’amministrazione, per i crediti tributari sorti prima della dichiarazione di fallimento, aveva chiesto e ottenuto in via tardiva l’ammissione del credito Iva per imposte e interessi. Successivamente aveva agito nei confronti della procedura per veder ammesso l’ulteriore credito tributario per “penalità e sovrattasse relative” (si tratta di penalità e sovrattasse poichè il credito tributario si riferiva all’anno 1991).
Il curatore aveva contestato l’ammissione del nuovo credito ed il Tribunale, con sentenza del 20 marzo 2000, riteneva che tra la prima dichiarazione tardiva e la seconda domanda proposta sussistettero identità di soggetti, di titolo e di oggetto, e che il giudicato endofallimentare formatosi circa l’insinuazione al passivo di imposte e interessi precludesse la positiva considerazione di ogni ulteriore ricorso che doveva invece dichiararsi inammissibile.
È infatti principio consolidato di diritto (corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza n. 13590/2001) che i procedimenti di ammissione tempestiva o tardiva dei crediti nella procedura fallimentare sono altrettante fasi di uno stesso accertamento giurisdizionale. di conseguenza la decisione circa l’ammissione di un credito assume valore di giudicato interno alla procedura e ogni nuovo credito per poter essere insinuato al passivo deve essere diverso quanto al petium e alla causa petendi dal credito già fatto valere nella precedente impugnazione.
La Corte d’Appello ha ritenuto che il credito tributario per imposte e interessi ed quello per “penalità e sovrattasse” (oggi sanzioni), pur se riferiti non solo allo stesso tributo, ma anche al medesimo avviso di pagamento emesso nel 1997 dall’amministrazione finanziaria, devono ritenersi di natura differente.
A nulla rileva l’unicità della fonte dell’obbligazione tributaria, visto che il credito per imposte e interessi è un credito che trae la propria origine dalla possibilità dello stato di incidere fiscalmente sulle operazioni economiche d’impresa, mentre il credito per penalità e sovrattasse (oggi sanzioni) consegue irregolarità e violazioni di legge del contribuente in termini di omissioni, ritardi o infedeltà, e concretizza, ai fini dell’insinuazione, novità della relativa pretesa tributaria.
La funzione della sanzione amministrativa resta quella di stimolo all’osservanza della legge, la sua natura non può essere considerata risarcitoria o meramente accessoria e quindi assimilabile al tributo cui inerisce. Deve ormai ritenersi indirizzo consolidato in giurisprudenza che le pene pecuniarie e le sovrattasse non hanno la stessa natura del tributo, ma hanno quali caratteristiche prevalenti quelle di sanzionatorietà e di affilittività dell’operato del contribuente, mentre la funzione risarcitoria e qunidi accessoria deve essere riservata agli interessi del tributo (Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 524671993). Nè si può obiettare che l’evento generatore del credito per il tributo e per le sanzioni o pene pecuniarie sia il medesimo (ossia l’obbligazione tributaria). poichè l’evento generatore vale solo come antefatto storico del quale si differenziano le fenomenologie giuridiche che, non solo hanno natura propria, ma che in relazione a essa possono anche avere un diverso trattamento(previsto per legge) nella graduazione dei privilegi.
La novità della pretesa tributaria relativa a sovrattasse e pene pecuniarie (oggi semplicemente sanzioni) giustifica, anche nei casi in cui si sia già formato un giudicato endofallimentare in tema di tributo e interessi, la formazione di un nuovo giudizio e, se del caso, l’ammissione del relativo credito tributario
Christian Dominici